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Luang prabang, Bangkok, e casa-casa

Dopo due lunghi giorni di placida navigazione sul Mekong, Luang Prabang è apparsa all’improvviso dietro un’ansa del grande fiume, esattamente dove l’avrei fondata io se ne avessi avuto l’onore. Eterea, splendida nella luce del tardo pomeriggio, la città che avevamo designato come meta finale del nostro viaggio, ci si è presentata in ghingheri, sospesa in una quieta coltre di grandi alberi e stupe dorate.
Luang Prabang, letteralmente abbracciata dal Mekong e dal Nam Kham, ha tutto quel che sogni dell’Indocina, cioè fascino, esoticità, spiritualità, e un po’ di sobrio snobismo. Io l’ho amata immediatamente, e lei mi ha ricambiata con spudorata sincerità, mi ha offerto il meglio, si è fatta scrutare e ci ha fatti languire nella sua pancia morbida fatta di pigri locali sul fiume, falci e martelli, cascate, colline e risaie.
Valeva tutta la fatica di raggiungerla, tutti i trecento chilometri di fiume percorsi seduti precariamente sul bordo duro del barcone, tutti i morsi di ragno nelle guesthouse di Pakbeng e Chiang Khong, nonchè tutto lo struggimento del lasciarla, poi, quand’è stata ora di partire per Vientiane.
È difficile spiegare perché un certo luogo ci faccia questo, come ci spinga a sentirne malinconia ancor prima di abbandonarlo, ed è difficile spiegare come sia possibile che rimettendo piede a Bangkok dopo venti giorni ci sia parso di tornare a casa, ma immagino che tutti abbiano provato qualcosa di simile da qualche parte del mondo, quindi niente spiegazioni, chiunque può capire.
Ora sono qui, a casa-casa, quella vera, ho ritrovato la mia piccola bestia pelosa, le mie cose, il letto pulito, la doccia pulita, il cibo pulito, l’acqua bevibile, e tutti i confort che la casa-Bangkok non aveva. Sono un po’ intontita, dormo alle 20 e mi sveglio alle tre di notte, sono perfino venuti i ladri nella casa di fianco, e dopo una breve comparsata al lavoro ho capito che non era proprio il caso.
È stata una avventura bellissima e faticosa, abbiamo percorso migliaia di chilometri in due paesi incredibili, abbiamo mandato amore ai ragni, ucciso un ragno (R.I.P.), avvistato rettili di due metri, dormito in paradiso, dormito in bettole, vomitato e mangiato anche se non in quest’ordine, fatto il bagno in uno dei posti più belli del mondo, e percorso in motorino le strade sterrate più assurde del globo. Ora ho bisogno di dormire, di dormirti addosso insieme a quella là e sognare giganteschi buddha sornioni.

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In viaggio

Corse forsennate in tuc tuc per le strade caotiche della strampalata Bangkok, feste in spiaggia a Sairee piene di falang sculettanti e sciocchi -ma si può dire anche liberi e spensierati, okay- e mojitos, e paranoia da cubo meduse postuma, e bagni in acqua color turchese. Ma è gia ora di spostarsi di nuovo, ciao Koh Tao, sei bellissima, e sono felice anche se ho mal di pancia e non mangio da 48 ore perché in paradiso non si mangia e punto. Allora di notte si salpa su un barcone di legno che balla paurosamente tra le onde del golfo di thailandia e sotto manciate di stelle pallide. Insieme a noi ci sono decine di giovani di tutto il mondo ammassati a dormire gli uni sugli altri, piedi contro piedi, distesi a pancia all’aria sopra materassini duri, ingrati, lerci, materassini da pescatori, con una notte intera davanti per mettere ordine nei pensieri o, se si riesce, dormire. Ma si riposa male sulla night slow boat per Surat Thani, il corpo duole premuto contro la stuoia, le onde sbattono sulla prua e fanno un rumore spaventoso, come di scogli che grattano lo scafo. Ma è strano, non mi importa: ho il gomito del mio vicino sconosciuto contro la testa, nell’altro fianco ho te, che sei alto e devi stare rannicchiato, e una ragazza dorme col sedere per aria quasi tutto scoperto. Mi piace, sono felice, qui, sullo sporco pavimento di un barcone che deve averne viste di tutti i colori, in mano ad un branco di marinai thai dalla faccia cattivissima, che magari neanche ci porteranno a destinazione, e ci uccideranno in alto mare per poi frugare bestemmiando tra i sacchi di biancheria lercia nei nostri zaini senza trovare niente che valesse la fatica dello sterminio. Ma no, non succederà, hanno la faccia cattiva ma sono buoni, ed io sono felice, e sarò felice domani tra le immense mani dorate dei Buddha di Sukhothai, e anche il giorno dopo, dovunque saremo. Mi pare di scrivere da un altro mondo, ma sono quasi certa di essere ancora viva.

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