Ieri, scorazzando in motorino tra tutte le polverose sartorie teatrali della città,
in cerca di altrettanto polverosi vestiti di carnevale, mi stringevo alla sua schiena ed annusavo il sole.
E’ stato un inverno talmente rigido -ed oggi di nuovo lo è- che al primo raggio di luce
si rischia il batticuore. Ma tutti quei toni grigio chiari e grigio scuri di questo lungo inverno,
a me sono parsi un bellissimo lungometraggio di Godard, e non un qualunque inverno di città.
Mi basta pensare alla neve, e tutte le ore che ci siamo dormiti addosso, ai cineforum e ai nostri viaggi.
A novembre ho preso un treno notturno pieno di narcotrafficanti, ali babà e santoni indiani,
e per milleduecento chilometri ho guardato scorrere il mondo fuori dal finestrino,
pensando al momento in cui i nostri strampalati incroci di ferrovie e voli intercontinentali,
si sarebbero riuniti lì, ad Amsterdam, sciogliendosi con un bacio emozionato di fronte
alla stazione centrale e a centinaia di ignari pendolari.
E dopo una notte scomoda e lunga, il treno si è svuotato a Francoforte,
ho perso tutti i miei compagni di viaggio, ed io sono rimasta sola nello scompartimento,
a ballare e cantare a voce alta come una stupida, con le cuffiette nelle orecchie
e il finestrino spalancato sull’Europa.
Ero libera come l’aria, lontana da casa, sola tanto da avere le vertigini, e stavo andando incontro a lui,
e al nostro sognato appuntamento olandese.
E’ stato, ne sono certa, uno dei momenti più felici di tutta la mia vita.
E lo so che è troppo presto per fare il funerale all’inverno e scrivergli il coccodrillo,
ma anche se fuori è freddissimo, io dentro di me sento che è in qualche modo finito.
E’ già la primavera dei cartoni di Miyazaki, delle notti di maggio, dei progetti di viaggio,
dei vestiti a fiori e delle magliette azzurre dalla taglia indovinata.