Monthly Archives: January 2009

metafisica

Le volte in cui ti stai vestendo per uscire, ma ti viene una voglia infantile e irrimandabile di abbracciare tua madre, di farti fare una carezza, di sentire il suo profumo. E le volte in cui il tuo letto è troppo grande e vuoto, anche se in realtà è piccolissimo e il poco spazio esistente è invaso da una cagnetta pelosa che respira forte.
Queste volte mi piacerebbe avere tra le dita il segreto supremo del sentirmi grande.
Invece ho bisogno di stare in compagnia oggi, di sentire che ci sono, come se il relazionarmi mi rendesse un corpo, un peso, la consapevolezza di una quantità esagerata di cellule messe insieme in maniera discreta a formare me.
E’ come se in assenza di questo io faticassi a sentirmi. Come il cagnolino nero di un quadro di Carrà.
Se qualcuno dorme con te, nell’accorgerti di essere scaldata e di scaldare, nel sentire le formichine che cominciano a correre sul tuo braccio che si è addormentato sotto al peso dell’altro, nel sentirti abbracciata, al sicuro, nascosta perchè più piccola, puoi davvero addormentarti serena. Perchè ci sei e ti sembra possa essere evidente anche al mondo.

la saga degli psicopatici

C’è un improvviso vuoto, sopra alla libreria nera.
C’era un quadro, anzi, c’era una tela, fino a ieri.
Era girata al contrario, perchè una certa persona non potesse vederla, ma c’era ed era grande, occupava spazio, a suo modo faceva quasi rumore. Non lo trovavo bello, ma quel quadro mi era comparso in sogno esattamente così e quindi mi piace dire che se anche non è bello è colpa dei miei sogni, non mia.
Ora sta dove doveva stare da mesi, e sono contenta perchè mi dicono che ci stia bene.

Mi sono svegliata molto presto stamattina, sono stata in redazione dove ho perso tempo senza troppo fingere, e nel primo pomeriggio sono scappata da Feltrinelli per comprare dei libri e per farmi cullare un pò dall’odore di una libreria. Mi sono seduta su una poltroncina nera nell’angolo più remoto, tenendo tra le mani L’Idiota e i Buddenbrook, e sfogliando una rivista di musica. Ovviamente è subito entrato in scena lo psicopatico di turno, a distruggere questa mia pace tanto desiderata.
Nello specifico si trattava di un soggetto sicuramente affetto da disturbo borderline, poichè era pazzo ma non del tutto. Ha detto che era una vera fortuna trovare una-come-me sulla poltrona di feltrinelli, che inoltre somigliavo a sua cugina giulia che sta in missione in marocco e che non sente mai a parte una volta che gli è partita una chiamata mettendo in tasca il cellulare senza blocco, che lui sta assumendo sempre più il tono di voce di suo padre e che quindi a volte le persone si spaventano, che è un architetto, anzi no, che è un artista, e che al giorno d’oggi non si trovano più persone con cui parlare, e che lui è vedovo, anzi single, anzi solo, e che lui prova grande ammirazione per qualcuno che compra un libro grosso perchè ciò significa che nella sua testa ha veramente in mente di leggere (…).
E’ andato avanti mezzora, intercalando tutto ciò con inquietantissime risate isteriche e inspiegabili e io continuavo stupidamente a sperare che sparisse nel nulla e che mi restituisse il silenzio. Quando ha cominciato a tirare fuori disegni fotocopiati e plastificati e a insistere perchè li guardassi, ho capito che non se ne sarebbe MAI andato, mi sono alzata dicendo "Arrivederci" e lui quasi allegro ha risposto "Arrivederci, e complimenti per la sopportazione!".

Cioè, se ne sei pure consapevole sei proprio stronzo.

Questa giornata noiosetta mi ha provata, stasera ho proprio bisogno di uscire.

La forma delle nuvole

La domenica è il giorno più bello dell’universo.
E se oggi là fuori splende il sole e fa ben sperare il pensiero che fra poco più di un mese possa appoggiarsi sulle labbra la bellissima parola marzo, ci sono ugualmente modi meravigliosi per far fruttare l’inverno. Dipingere aeroplanini di legno con i colori ad olio, dormicchiare e risvegliarsi, scattare fotografie che ricordino un pomeriggio morbido.
Ora, se guardo gli aeroplani azzurri decorati da professionalissime righe color magenta, mi accorgo che fanno venire voglia di partire. E fanno venire voglia di guardarli tracciare scie bianche nel cielo, e fanno venire voglia che sia marzo di già, e che si possa stare seduti sull’erba a giocare a quel gioco di immaginazione di cui abbiamo parlato tanto.

allegorie

L’altra notte ho sognato di mangiare un coniglio.
E’ stato un sogno veramente di merda, e non tanto perchè io non mangio conigli, ma perchè questo coniglietto era piccolissimo e vivo, e se ne stava nel mio piatto, respirava, aveva il pelo morbidissimo bianco a macchiette nere. Io lo accarezzavo e lui si strusciava sulle mie dita. Non trovavo strano che lui se ne stesse nel mio piatto, anzi, mi pareva normale che poi la sua fine fosse essere mangiato. Ho avuto un dubbio, per qualche secondo, che non fosse giusto ucciderlo, ma c’era mia nonna che diceva qualcosa sul fatto che essere mangiati è il loro destino e io, senza pensarci, l’ho tagliato a metà, come si taglierebbe una zucchina. E in quel preciso momento, nel momento in cui lo tagliavo a metà, ho realizzato che lui era vivo, dannazione, che era una bestiolina viva che mi si strusciava contro la mano per essere accarezzata.
Mi sono svegliata nauseata e triste, e senza la voglia di indagare sui miei sogni.
E allora oggi, per dimostrare a me stessa non so bene cosa, ho finito un certo quadro che in realtà è finito da sei mesi, e sono corsa a comprare il rosso magenta e il giallo e ne ho iniziato uno nuovo. Una allegoria, di conigli  e mangiatori di conigli, e del peggio dei miei pensieri con addosso il vestito della domenica.

ready to be heartbroken

Seduta in redazione, avvolta in un maglioncino grigio di cachemir, canticchio i Camera Obscura in aperta ostilità con il mal di testa che mi perseguita da ieri. E faccio risuonare musica indie per tutta la stanza, che se la ascoltino tutti quanti, e se non gli piace si vergognino.

Intanto, mentre me ne sto qui a fare più che altro i fattacci miei, faccio considerazioni sul mondo del lavoro, trovando che sia penoso per due motivi in particolare: il primo è che la maggior parte dei lavori sono assolutamente inutili, il secondo è che la maggior parte delle cose potrebbe essere fatta meglio e con minor dispendio di tempo, ma siccome decidono dei completi idioti è necessario dire che va bene così.
Con ciò non intendo arrabbiarmi, sono solo i miei pensierini sul tema. Pensierini da bambina delle elementari.

Ho trovato nella buchetta una cartolina di Giacomo dagli States, dove egli sostiene di essere il vincitore indiscusso del nostro personalissimo contest  "Trash Postcards". Ebbene, forse ha vinto.

Mentre ieri il cielo del tardopomeriggio si tingeva di rosa, e io appiccicavo la mia faccetta alla finestra, qualcuno mi ha scritto per dirmi di averlo fatto apposta per me.
Ora lo sapete tutti, mi dispiace, ma quel cielo era mio…

Il senso delle cose è una coperta stesa

L’odore delle rose
e’ una reazione chimica,
se un giorno lo scoprissi
non l’ameresti piu’?

Fuori dalla finestra c’è Via Oberdan che vive, uomini con il cappotto e donne avvolte da sciarpe. C’è l’edicola, la piazzetta della chiesa, i palazzi giallo pallido e quelli color salmone. C’è la nebbia, anche.
E’ l’inverno bolognese in tutta la sua evidenza immateriale. Il suo potere sta in quell’atmosfera assorta e sbiadita che assume tutto quanto, in quel qualcosa, come un’assenza, che ti prende alle spalle e ti ammutolisce. Perchè  a pensarci qui manca tutto, manca la neve e il mare.
Mi manca la domenica pomeriggio passata tra piccoli sonni e baci, giocando a scoprire il mondo su una mappa, assecondando la curiosità bambinesca del cosa ci sia mai in un misterioso paese satellite.

Sarebbe bello andare in letargo fino a marzo, con il piumone sopra la testa e qualcuno che sappia fare le marionette con le dita. Mettere il nasino fuori casa soltanto allo sbocciare delle prime margherite.

0.889507581 British pounds

Sono stanca, ma non riesco nemmeno a dormicchiare oggi pomeriggio.
Persino la cagnetta è nervosa e ogni tanto emette un flebile bau.
Stranamente il mio lavoro di giornalista a titolo gratuito non ha suscitato le risate degli Economisti, ieri sera.
Pensavo di sì, e invece no. Il Dott. Vecellio ha persino sostenuto che per un sogno si può fare, e il Prof. Patrizi non mi ha redarguita in alcun modo, ma si vede che non ci sono più gli economisti di una volta.

Le giornate cominciano ad allungarsi appena appena, il che significa che fa buio alle cinque anzichè alle quattro, una variazione di poco contro per ora.
Prima ho scritto che sono stanca, ma non è vero, non ho fatto altro che stare seduta a scrivere articoli su cose carine e culturali. In realtà sono annoiata, detesto questi pomeriggi di melassa, detesto la lentezza esasperante con cui passano, e detesto il fatto di non essere fuggita a fare fotografie da qualche parte.

Ieri sera stavo per uccidere un ciclista senza fanalino. Però non l’ho ucciso. E’ importante da segnalare perchè se l’avessi ucciso oggi sarebbe una pessima giornata, e invece è solo una giornata mediocre.
Poi, siccome sono una ragazza moderna e informata, e mi piace godere delle sciagure economiche degli altri paesi, ho acquistato 5 vestitini molto british da un negozio londinese. Però non sono ancora arrivati.
Tutti mi dicono che ho i capelli lunghissimi quindi  mi sta venendo voglia di tagliarli.
Il caporedattore dice di usare meno avverbi e io ne uso il doppio.

Ho voglia di questo e di quest’altro. Inutile elencare, sono di una banalità quasi accecante.

ninna nanna

Finito il resoconto praghese, riporto queste pagine sui loro binari.
Il duemilaeotto è stato un anno bellissimo.
Sì, sono successe cose tristi come a tutti, mio malgrado ho frequentato con una certa assiduità il reparto di cardiologia, e ho dovuto ostentare una serenità che non avevo, ma sono cose che si sono risolte e soprattutto sono cose che nella mia mente sono legate ad altre bellissime.
Come una telefonata alle due del mattino, mentre insonne leggevo Scott Fitzgerald.
Come delle notti piene di stelle e poi nebbia.
Come un profumo, che si aggiunge ad una voce e ad un’ombra.
Come qualcuno che ti bacia il nasino.

La laurea ha fatto felice mio nonno, ma i miei successi sono altri, sono certi sguardi, sono i viaggi in cinque paesi dove prima non ero mai stata, è il pagarmi l’università da sola, ed è essere stata capace di certe cose abbastanza incredibili.
Perchè io penso che buona parte delle cose che mi sono successe quest’anno, raccontate, suonerebbero come una sceneggiatura ben riuscita ma puramente immaginaria. E invece è stato tutto vero e nessuno me lo toglierà mai.

A volte, se sono inquieta e voglio un bel pensiero da accarezzare per addormentarmi, tiro fuori una di queste scene incredibili dal cappello magico delle cose belle, e mi metto a giocarci, prestando attenzione ai dettagli, alle frasi, e infine alla meraviglia dell’insieme.
Il duemilaeotto è una ninna nanna da canticchiarsi la notte.

Praga, fine.

Il giorno in cui lasciamo Praga, dopo una serata passata allo Chapeau-Enfer Rouge, ci svegliamo in ritardo, ma facciamo in tempo a fare un’ultima meravigliosa colazione al Cafè Louvre, dove l’espresso sembra quasi un espresso vero, lo strudel di mele con crema è buono da mettersi a piangere, e c’è persino il Guardian da leggere. Poi cambiamo buona parte delle corone ceche avanzate in una delle mille agenzie di piazza venceslao, ovviamente con un cambio vergognosamente sfavorevole e alle 13.30 si parte per Vienna.
Siamo nello scompartimento con una coppia di austriaci o forse tedeschi, e una signora più anziana che per tutto il tragitto scrive meticolosi appunti di viaggio. La coppia non sorride mai, non parla mai, mi appaiono come un inno all’infelicità ma magari sono soltanto stanchi o riservati.

Mangiamo i panini che ci siamo fatti la sera prima con le cose comprate da Tesco.
Abbiamo speso l’equivalente di due euro per comprare i panini, il salame, il camembert e l’Edam Cheese.
Poi altri due euro per le patatine a forma di orsetto Pom-Bar. Sono i deliri dell’economia ceca.
Il salame fa schifo, te lo vendono già affettato da chissà quanto e non confezionato, però nel complesso il panino ha una sua dignità, anche se A. continua a dire che sa di renna.

Alle 18 siamo a Vienna Sud, che però non sembra la stessa vienna Sud dell’andata. E’ come se tutte le stazioni si fossero divertite a cambiarsi d’abito per farci uno scherzetto.
Compriamo i biglietti della metro, e in venti minuti siamo a Vienna West, da dove dovrebbe partire il nostro bel treno notturno.
E’ qui che una gentile signorina dice una parola bruttissima: full. The train is full.
Non è propriamente una buona notizia, anche perchè è sera e per il treno successivo dovremmo aspettare la mattina. Iniziamo a fare congetture e piani segreti, pensiamo ai duemila modi alternativi per tornare in Italia.
A. non so perchè ma si preoccupa per me, io sono tranquilla ma mi dispiace che lui si dispiaccia. Inoltre la stazione di Vienna West è bruttina, c’è un negozio che si chiama Libro libro o qualcosa del genere, un supermercato dove compriamo del pane da mangiucchiare, e una specie di edicola dove troviamo il Corriere della Sera.
Ragioniamo su tutti i piani possibili, e alla fine decidiamo che noi non possiamo stare a Vienna, e che quindi la soluzione è una soltanto: salire sul treno da clandestini.
Il piano geniale è il seguente: salire, prendere un posto qualsiasi di quelli non prenotati almeno nell’immediato, cercare il controllore e chiedere di fare il biglietto a bordo.
Non crediamo che qualcuno possa essere così crudele da farci scendere, nel cuore della notte, in uno sperduto paesino austriaco.
Così, da bravi, saliamo e prendiamo posto in una carrozza pressochè vuota, e nel momento esatto in cui il treno parte, A. va a cercare il controllore. L’uomo è grosso e bonaccione, ci fa i biglietti anche se ci comunica che effettivamente non c’è posto nelle carrozze che arriveranno in Italia. Quella in cui siamo, dice, è vuota soltanto perchè arrivati a Salisburgo verrà staccata dal resto del treno e resterà lì.
Prima di Salisburgo quindi, intorno a mezzanotte e mezza, dovremo spostarci nelle prime carrozze e probabilmente stare in piedi. Non è una cosa molto comoda, ma a noi sembra già un miracolo essere sul treno e restarci.
Prima di Salisburgo prendiamo le nostre cose e per puro miracolo troviamo due posti liberi in una carrozza del notturno. Ci stavano tenendo i piedi sopra gli altri abitanti dello scompartimento, ma senza alcun senso di colpa gli chiediamo di spostarsi.
Ed è così che incontriamo quelli che saranno i compagni di viaggio per tutta la notte, fino a Mestre: una coppietta di brasiliani, e una russa di aspetto giapponese. I brasiliani stanno passando le loro vacanze estive in europa, lui parla solo portoghese brasiliano, mentre lei invece parla fortunatamente inglese. La russa-giapponese, che non si capisce bene che diamine di origini abbia, parla un bell’inglese limpido, e nel giro di cinque minuti siamo tutti coinvolti in una buffa conversazione sui rispettivi paesi, su Vienna, su Praga, sull’Europa eccetera.
E’ carino parlarci e sentirli parlare, anche se alle due del mattino vorrei ucciderli tutti quanti perchè sembrano non fermarsi un attimo. Quando finalmente sembra si stia diffondendo un pò di sonno, la russa giapponese tira fuori non so come un discorso sulle macchine e le motociclette, e anche il brasiliano che parla solo portoghese è contentissimo e inizia a dire che lui ha avuto tante FIAC, che la FIAC fa questa macchina e quest’altra…
Loro dicono FIAC, PAVAROCCCHH (Pavarotti), e altre cose da scompisciarsi.

Il treno va lentissimo, si ferma ogni mezzo chilometro a far salire qualcuno, e ogni tanto veniamo svegliati per mostrare i biglietti. Nello scompartimento si sta abbastanza scomodi, il viaggio dell’andata sembra un gran lusso a confronto, e soltanto un colpo di genio del brasiliano, intorno alle quattro del mattino, ci permette di migliorare notevolmente il nostro standard di vita.
Mi addormento più volte, per poi risvegliarmi sempre, e l’ultima volta che questo succede siamo arrivati vicino a Treviso, e un’alba incredibilmente rosa colora il cielo. Sono un  pò allucinata, voglio mostrare quell’alba bellissima ad A., e così scosso un pò la persona affianco a me convinta che sia lui.
Invece sto scossando la brasiliana, lui è di fronte a me, e il brasiliano è affianco a lui con addosso una mascherina per coprirsi dalla luce.

Siamo arrivati, o quasi. Ora è tutto facile, persino troppo. Entriamo nella caffetteria della stazione di Mestre per fare colazione e io continuo per qualche minuto a dire parole in inglese.  A Bologna arriviamo verso le undici del mattino, sono stanca ma in quel modo strano dei ritorni.
Mentre mangiucchio qualcosa di buono e bevo la prima acqua dell’ultima settimana, scopro che in televisione c’è la pubblicità di una nuova suoneria per i telefonini, una specie di inno all’omertà, dove un mafioso dal marcato accento siciliano strizza l’occhio e dice qualcosa tipo  "Io non dico niente ma ti è arrivato messaggio".
Non trovo come un paese possa ridere su qualcosa che ha causato morti e ne causa ancora oggi, con migliaia di famiglie vittime dell’usura, con il silenzio che distrugge i processi, i magistrati assassinati, i testimoni minacciati.
Mi viene la nausea e penso che allora era meglio la Repubblica Ceca, con la sua cancellazione totale degli orrori del passato.

Abbiamo mandato una cartolina a Mario per dirgli che ci dispiace tanto che l’osteria chiuda, e mi domando se gli sia già arrivata e se gli abbia fatto piacere ricevere un pensiero da due sconosciuti all’estero.

Riguardo le fotografie sorridendo.
Mi sembra che sia bella Praga, ma anche che siamo belli noi, con in testa un colbacco e una cuffietta scema.