Treni che partono in ritardo lasciando a terra i passeggeri e portandosi lontano-lontano le loro valigie.
Così è cominciato il viaggio, con una sorta di gag da varietà, per fortuna senza noi come protagonisti.
E poi ci sono state preghiere silenziose per arrivare in tempo all’aeroporto, e un bel tramonto arancio verde blu che vorrei spacciare per aurora boreale ma mica sarebbe giusto.
Stoccolma è un incanto di tetti a punta che la guida chiama romanico nazionale ma io chiamo fiaba.
Ho scoperto che dormire su una barca con un piumone ikea tirato su fino al naso e la neve che cade fuori dall’oblò, è una specie di paradiso terrestre irriproducibile altrove, e ho scoperto che le polpette svedesi con i mirtilli sono una figata galattica, e che c’è un motivo se i caffè al nord sono bellissimi e curati, e che la musica pop svedese fa talmente schifo da essere quasi stupenda, e che un paese dove uno che sembra il Ministro delle Finanze può baciare pubblicamente uno che sembra il tuo bancario di (s)fiducia è per forza un paese superiore.
Come al solito torno con una manciata di spille, un disco degli Shout Out Louds, un cuore da appendere all’albero di natale su cui qualcuno ha appuntato una scritta misteriosa (…), una marea di immagini e sensazioni che spiegare è difficile.
Favole lunghe rigorosamente tre frasi, neve bianchissima a palate, orsi e renne che si mettono in ghingheri per me, 4 babbi natale avvistati, tram-caffè gestiti da una coppietta datata, guanti miracolosi, dance floor gay, e cose di questo spessore.
La svezia mi ha lasciato addosso, ma non so perchè, oltre ad una influenza di un’ora e mezza passata sculettando sul Patricia, questa sensazione che sia tutto un pò possibile.
Mentre l’aereo volava tra Nyköping e l’Italia, guardavo di sbieco il sole e pensavo che scappare ogni tanto è la cosa più bella del mondo.
E d’ora in poi, mai e poi mai, oserò pronunciare la parola freddo al di sotto di Göteborg.