Quando la mattina prendo il motorino per venire a lezione, arrivo spesso a velocità sconsiderata all’incrocio dove via Murri si tuffa sui viali. Getto appena un’occhiata a sinistra, alla Pimpa alta quattro metri che fa la guardia all’entrata dei Giardini, e sorrido. Quella cavolo di Pimpa gigantesca, con i pois grandi come la mia faccia, è strepitosa e mi mette di un umore buffo.
Scrivo dall’auletta del dipartimento economico, alle cinque ho la lezione di Storia dei paesi del Meditterraneo e da questa sala studio che dà sul giardino interno della facoltà si vede il sole, gli alberi altissimi, la fontana di pietra con i piccioni che ci fanno il bagno dentro, i suoi zampilli lenti e bassi, la sua aria decadente che tanto mi attrae. Quel che di bello ha questo settembre è che mi pare di non aver bisogno di nessuno. Faccio respironi ampi, pieni, e mi sento strana, come se per una volta ogni tanto stessi bene solo cosi, respirando e aprendo e chiudendo le palpebre per riflesso condizionato, senza sforzo e senza pretese. Certo, ci sono quattro o cinque persone che se perdessi soffrirei atrocemente, ma ho come la certezza che potrei sopravvivere. Sembrerà poco ma non lo è davvero.
E poi in questi giorni Bologna è bella, tiepida, e ho cenato col bellino, ho visto gièc, ho preso caffè con la Sara e fatto giretti di ricognizione da Feltrinelli senza mai comprare nulla. A casa sto tranquilla, nessuno mi stressa, ho comprato uno di quei pigiamoni americani che fanno tanto Seven Heaven e che metto la sera quando me ne sto sul divano a guardare scemenze televisive con la polpetta raggomitolata addosso ronfante. Infilo le dita nel suo colletto di pelliccia morbido, fitto fitto, la vedo serena affidarsi totalmente a me e la amo follemente . Qualche volta le voglio cosi bene che me la mangerei, allora la ribalto a pancia all’aria e le mordo le tittine rosa. La poverina si lascia fare e forse non capisce, ma è la cagnina piu’ felice e fortunata che si sia mai vista.