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27 luglio 2018

Ultimo giorno di lavoro prima delle ferie; forse e dico solo forse, uno degli ultimi in questo ufficio, con questa vita, con queste persone. E’ solo un forse, ok, ma è sempre un’emozione un po’ strana.

 

E’ passato un anno intero dalla morte del nonno ed io credo di averlo pensato ogni singolo giorno più volte, in tanti momenti diversi e non necessariamente ricollegabili a lui.

A volte mi sono mancati semplicemente i suoi consigli  perché mi conosceva bene e aveva uno sguardo sulla vita stupendamente disincantato, a volte mi è mancata la sua voce, altre volte sono stata sollevata (stranissima sensazione questa) dal fatto che non potesse accadergli altro di male.

 

C’è questa cosa che luglio mi fa a pezzi, ogni anno, ogni volta. Non è più il tempo delle infinite estati da studenti, degli sguardi al cielo e delle lunghe letture. Niente più libri, tempo, energie, è tutto un correre per fare, rattoppare, sistemare le cose prima della partenza per un viaggio che di solito arriva praticamente  inaspettato, senza che si possa averlo immaginato o pregustato.

Ed è stato esattamente così anche questo luglio: una gran fatica, tantissime ansie, cambiamenti enormi in vista, e la voglia unica e disperata di stare con te, altrove, a tenerci per mano guardando orizzonti immensi e offuscati, orizzonti vaghi come dentro un quadro di Turner.

 

In questo luglio mi sento di camminare un po’ sul bordo di qualcosa, qualcosa di affascinante, con la voglia ma anche il terrore di fare quel passo in più. Per dare un senso, per definirmi, per faticare ma riuscire…ovvero tutte quelle cose che oltre all’amore danno un senso alle nostre vite, quel tipo di cose che ti mettono alla prova, che ti fanno piangere quando fallisci e ti fanno sentire da dio quando riesci, insomma, quelle cose lì.

Ho bisogno di tempo per metabolizzare i cambiamenti, ma per fortuna domenica si parte e io ho tutta l’intenzione di incollarmi a te e lasciare che la corrente ci porti dove vuole.