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31 maggio.

C’è un solo argomento di conversazione, un unico (o quasi) pensiero costante comune a tutta la città e a tutta la regione, ed è ovviamente il terremoto. La faccenda, oltre che brutale e tristissima, si sta facendo anche lunga, perchè le scosse non accennano a fermarsi e potrebbe volerci davvero tanto tempo.
Nel frattempo abbiamo imparato a convivere con i tremori minori, e non voglio dire uno scempio ma ci siamo quasi abituati allo stato di allerta, alla possibilità di doversi alzare velocemente dalla propria sedia dell’ufficio, o dal proprio letto, per correre fuori al sicuro. Tutto questo non sarebbe niente, ma ciò che mi annichilisce, e mi tormenta, è  il pensiero di persone perbene che hanno perso tutto, e che ora sono smarrite, fuori dalla propria casa, senza i propri semplici oggetti, le proprie abitudini, il proprio lavoro. Ho cercato di fare quello che potevo, ho portato la spesa di generi alimentari al centro di raccolta, ho dato qualche soldo a chi credo li porterà sul territorio, ma non mi sento assolta così facilmente dalle mie responsabilità di cittadina e so che andrebbe fatto altro, anche se non so in che termini. L’instabilità della terra, fa sentire instabili anche dentro, mette in subbuglio, agita, fa raccogliere le persone fino a tarda sera nelle piazze e nei parchi, con un rinnovato desiderio di condivisione che se non fosse conseguenza di un fatto tragico sarebbe persino BELLO. Siamo, insomma, tutti un po’ confusi, con lo sguardo in su al primo tremore, pronti alla fuga come degli animaletti selvatici. Sarebbe quasi buffo, ma non lo è affatto.

E poi succedono anche cose che non c’entrano niente con il terremoto, per fortuna, tipo che io e te uscendo dal lavoro ci beviamo calici di ribolla gialla seduti sotto al portico di via Valdonica. E mi è tornata voglia di leggere, e anche tanta, così al Modo ho comprato un libro di José Saramago che si intitola L’anno della morte di Ricardo Reis e me ne è stato regalato un altro per il compleanno della pelosotta, in cui quel bellissimo signore barbuto che era Konrad Lorenz racconta la storia d’amore tra l’uomo e il cane.
Ho voglia di addormentarmi su pagine di cose belle, di viaggi transoceanici su grandi navi passeggeri, di bestiole amorose che danno un senso alla famiglia, e di sognare i primi giorni di ferie. Ho voglia di pensieri leggeri e posso solo immaginare quanta voglia ne abbiano le persone a cui non è semplicemente tremata forte la casa.
Spero che questo trentun maggio andandosene si porti via con sé anche le scosse, e le macerie, e l’impotenza, e permetta a tutti di ricominciare.

la piccola

Immagine

Sono stati giorni di pioggia insistente, densi di un’aria umida che ha fatto somigliare questo inizio maggio ad un insopportabile novembre qualsiasi. La terra, la nostra terra di qui, ha tremato rivoltando case, antichi castelli e campanili, e ancora adesso continua di tanto in tanto a tremare, come a ricordarci che non era mica uno scherzo, se mai qualcuno lo avesse creduto.
Oggi, mia piccola compagna quattrozampe, è il tuo compleanno. Sei nata otto anni fa, da qualche parte vicino a Reggio Emilia, in quella terra che ultimamente ha deciso di fare la ballerina, poi quando eri appena una pallina di ciccetta morbida ti ho portata a casa, e sei diventata mia sorella, una sorella pelosa e fastidiosa e dolcissima. In questo momento stai dormendo alle mie spalle, sul letto che oltre a essere il mio letto è anche la tua cuccia, e che è ancora più tuo da quando ti ho comprato la scaletta dell’Ikea per salirci senza aiuto. Mi giro a guardarti, e tu drizzi sull’attenti quella testolina tonda e nera che tanto amo, e vorrei alzarmi e venirti a dire che da quando ci sei hai riempito di felicità e peli la mia vita, ma non sono certa che capiresti questo discorso un po’ difficile.
In ogni caso  buon compleanno, bestiolina mia, io e quell’altro ti amiamo.

lanterne di carta e terremoti


Quello di Nicola e Monica è stato un bel matrimonio, il primo bel matrimonio della mia vita. Niente e nessuno ha stonato in tutto quell’ambaradàn di persone contente, e a fine giornata, mentre volavano in cielo quattro splendide lanterne di carta, ho davvero augurato loro dal cuore il meglio del meglio che c’è al mondo.

Poi la notte, dopo il concerto di Maria Antonietta al circolo Arci, ci siamo addormentati sfiniti nel letto di un assurdo ed elegante hotel di Castiglione, finchè alle quattro e cinque minuti del mattino tutto l’asciutto arredamento di design ha iniziato a tremare pericolosamente interrompendo strampalati sogni che ora non ricordo più. Ci siamo tirati su insieme, ed è stato davvero strano restare così quieti, sussurrarci poche parole, e aspettare seduti sul bordo del letto, in silenzio, la fine di quegli interminabili venti secondi di sconquasso.

the measure of my dreams

L’altro giorno era quel giorno in cui io e te ricordiamo il momento in cui si è aperta una specie di finestra spazio temporale, gli dei sono scesi sulla terra, le stelle ballavano musica indie strafica, noi due ci siamo trovati nello stesso posto alla stessa ora, ed io ho chiuso gli occhi e ti ho annusato il collo per una notte intera. Un giorno così meriterebbe come minimo una semana santa di festeggiamenti, con madonne di guadalupe in trionfo, e processioni danzerecce, e popolazioni devote raccolte in preghiera, eccetera, ma se non succede fa lo stesso, perchè noi due festeggiamo benissimo anche da soli, davanti ad un mojito conpocorum, ai tavolini sgarrupati del baretto verde di via Mascarella.

Ogni anno mi sorprendo di come il tempo passi generoso, gentile con noi, e ci trovi ogni volta più felici. E’ una cosa nuova per me, perchè da che mondo e mondo il tempo è ingrato, mentre per noi è il contrario esatto, e non so davvero dove andrò a finire a forza di amarti così! Forse imploderò, o esploderò o non so, magari saremo fortunati, non succederà niente e si potrà continuare a mandarci cuoricini con gli occhi tutti i giorni, come degli stupidi scoiattoli di Central Park in primavera. Ecco cosa spero: di non esplodere, nè implodere, nè impazzire d’amore nè niente, perchè fare lo scoiattolo di central park insieme a te, con le noccioline, un nido sull’albero e frequenti gite di là dal lago, è proprio la mia vita ideale, la più meravigliosa delle vite ideali.
E mentre scrivo questo splende improvvisamente un cielo azzurro maggio, e tutto è terso, dentro di me e fuori di me.

abissi

A pochi metri da dove lavoro, sul terrazzo di cemento di una delle bruttissime torri della Fiera, una persona ha deciso che non aveva più voglia di lottare. Questa persona era M.C., colui che era ovunque, che conosceva tutti, e che se non si fosse messa in atto una infelice congiuntura di eventi, oggi sarebbe stato senz’altro sindaco della città.
Io non lo conoscevo, l’ho solo intravisto in un paio di occasioni e le sue imprese sui giornali mi scatenavano una sincera antipatia, ma la notizia del suo suicidio mi è arrivata come un pugno sgangherato.
E’ assurdo, ma credo di non aver mai pensato con tanta insistenza e tanta confusione alla morte di qualcuno che di fatto non conosco, ma c’è qualcosa in questo epilogo così triste che mi turba profondamente. Forse il mio stordimento dipende dal fatto che questa persona appariva incapace di un gesto simile, talmente presente da non poter essere “assente”, amica di tutti, generosa di sorrisi, soddisfatta di sé. La tipica persona che non fa una cosa simile, per intenderci.
Così è da ieri che mi chiedo continuamente che cosa faccia alzare le braccia, che cosa faccia arrendere qualcuno in maniera così totale dal non lasciarsi nessuna via di scampo, pur avendone. Mi fa paura l’idea che l’animo umano abbia buche così profonde, irrazionali, insondabili, dal portarti ad aprire una finestra sul buio macchiato dalle luci dei fari delle auto nel più brutto quartiere della città, e lanciarti nel vuoto, in un brevissimo volo di trenta metri, e fine. Fine davvero, nella più assoluta delle interpretazioni. Mai più consigli regionali, mai più torri della fiera, bruttissime. Mai più gli occhi di tua figlia, un bacio di tua moglie o di qualcuno che ami. Mai più tutto, il vento in faccia, una partita di calcio, un bicchiere di vino con gli amici. Perchè?
E’ davvero stupido da parte mia chiedermelo, ma sul serio, io non capisco, perchè? Cos’è che sopprime quell’istinto di sopravvivenza, ogni goccia di speranza, ogni desiderio di buono, anche in assenza di problemi insormontabili? Provo a immaginare, e mi vengono i brividi.
Un attimo prima sei lì, nel tuo ufficio, i tuoi due cellulari appoggiati sul tavolo che squillano con insistenza perchè ti aspettano ad una riunione, tu stai male, sei nervoso, forse piangi? Allora ti alzi, immagino che cammini avanti e indietro dalla finestra alla scrivania, più volte,  forse guardi persino la città sullo sfondo perchè dalle torri della fiera l’orizzonte deve essere davvero lungo, e pensi che non ci sia via d’uscita, pensi di non farcela più. Nemmeno quella città molle e riservata, che tanto hai amato, ti fa tornare in te. Scrivi un biglietto, o magari l’hai scritto già da un po’, metti la penna a posto, ti alzi, apri la finestra, ti sporgi.  Mi chiedo se aspetti, se ti tormenti ancora, se guardi o preferisci non guardare, se lo fai di getto o stai lì con le gambe nel vuoto e l’aria di maggio in faccia.
L’unica cosa certa è che poi ti lasci andare, e l’ultima cosa che vedrai sarà quell’orribile quartiere fieristico fatto di torri bianche modulari inventate da un giapponese privo di buongusto, un quartiere che immagino avrai odiato ogni mattina in cui avresti voluto entrare nei materni mattoni rossi di piazza maggiore.
Non so sondare gli abissi. Finisco per trovare soluzioni vitali non corrispondenti allo stato d’animo di chi si lancia nel vuoto. Ciò che mi annichilisce, e mi terrorizza, è che con tutta evidenza ci sono momenti della vita in cui capita di non vederle, queste soluzioni, non sentirle, non immaginarle neppure.

risoluzione

Domenica pomeriggio, dopo un riposino ristoratore e illuminante avvolti dai peli magici della cagnetta, abbiamo approvato all’unanimità la Risoluzione Indocinese, e abbiamo prenotato il volo della prossima estate per Bangkok. Così, di colpo.
E adesso, anche se la partenza è tipo lontanissima, sono tutta emozionata, e vorrei passare le giornate ad acquistare beni essenziali tipo scarpe da trekking (oddio!), calzettoni, pantaloncini, zanzariere, coprizaino, e perfino la borraccia, manco partissimo per il Borneo.
In realtà prima di partire davvero ci saranno mesi interi di rogne lavorative, qualche felice weekend marittimo, un matrimonio, l’arrivo del caldo strangolatore, eccetera, ma noi ci abbiamo il biglietto per Bangkok, e questo non è solo consolatorio, è più simile ad andarsene in giro su una nuvoletta o robe così.
Per festeggiare dico addio ai carboidrati almeno per quindici giorni, che poi è più un arrivederci, e inauguro ufficialmente la stagione del risparmio, dell’austerity, e della dieta vegetariana. Non so in che modo  questo c’entri con il Mekong, ma in qualche modo c’entra di sicuro.