Monthly Archives: October 2012

case sull’albero

E di colpo, tutto d’un tratto, ci siamo svegliate ed è arrivato l’autunno vero, è arrivato quasi novembre. Stamattina, per la prima volta, sia io che la cagnetta abbiamo dovuto infagottarci nei cappotti e nelle sciarpe di lana, e camminare svelte verso il caffè senza perderci in troppi pensieri e deviazioni. E’ autunno, e qui si ha bisogno di nido, di braccia lunghe che ti girano intorno, di dormire tenendosi per mano, di amore, delicatezze e pensieri buoni. Ho voglia di una casa sull’albero, di un aereo che salga sopra le nuvole, di un pomeriggio in libreria, di un ombrello con il manico di legno.

“Sono passati degli anni da quella partenza e poi ancora anni… Ho scritto spesso a Detroit e poi altrove a tutti gli indirizzi che mi ricordavo e dove potevano conoscerla, seguirla Molly. Non ho mai ricevuto risposta. Il casotto è chiuso adesso. E’ tutto quello che ho potuto sapere. Buona, ammirevole Molly, vorrei se può ancora leggermi, da un posto che non conosco, che lei sapesse che non sono cambiato per lei, che l’amo ancora e sempre, a modo mio, che lei può venire qui quando vuole a dividere il mio pane e il mio destino furtivo. Se lei non è più bella, ebbene tanto peggio! Ci arrangeremo! Ho conservato tanto della sua bellezza in me, così viva, così calda che ne ho ancora per tutti e due e per almeno vent’anni ancora, il tempo di arrivare alla fine. Per lasciarla mi ci è voluta proprio della follia, della specie più brutta e fredda. Comunque, ho difeso la mia anima fino ad oggi e se la morte, domani, venisse a prendermi, non sarei, ne sono certo, mai tanto freddo, cialtrone, volgare come gli altri, per quel tanto di gentilezza e di sogno che Molly mi ha regalato nel corso di qualche mese d’America.”

L.F. Céline, Viaggio al termine della notte

Il mio papà affettuoso è stato mio nonno, che oggi è anziano, e ha i difetti di molti anziani.
Ma anche se ora mio nonno è stanco, demoralizzato, lamentoso e ripetitivo, è pur sempre il mio papà affettuoso, e io che oggi dovevo andarlo a trovare ho inventato una scusa stupida per non farlo, e ora mi sento infinitamente stupida.
Lui è il mio papà affettuoso e io ho il dovere di ascoltarlo, anche se ripete cento volte storie poco piacevoli del suo intestino pigro, anche se dice “seppellitemi qui, seppellitemi là”, anche se esagera, e drammatizza, e si deprime, come tutti gli anziani.
Avrei il dovere anche se fosse soltanto mio nonno, ma ancora di più perchè è lui che mi veniva a prendere a scuola, e mi ha insegnato ad andare in motorino, e a guidare la macchina, e mi ha dato ragione anche quando non l’avevo e mi è venuto a recuperare quando restavo senza benzina, e mi ha consolata, e accompagnata al pronto soccorso, e insieme abbiamo messo i cartelli nei viottoli del suo orto con sopra scritto “via dei ciliegi” e “via delle carote”, ed è stato mio padre tutta la vita, anche se non lo era.
Mi sento tristissima, e fuori inoltre piove.

allargare il pensiero aiuta

Oggi è quel classico giorno dopo-qualcosa, in cui la tensione si scioglie, i respiri tornano belli profondi, e la mente si rilassa godendosi ogni singolo attimo di quiete.
Era molto, molto tempo che non mi presentavo ad un colloquio di lavoro, e benchè un lavoro io ce l’abbia, l’idea di fare una figura da cretina non mi allettava particolarmente e mi aveva messa tutta in subbuglio. Invece è andata bene, nessuna figura da idiota, e persino un paio di risposte particolarmente brillanti che hanno suscitato nel mio serio interlocutore una certa aria soddisfatta.
Poi, probabilmente non avrò quel posto, sicuramente ci sarà stato qualcuno di molto molto più preparato di me, ma io sono uscita contenta e questo solo conta.
E’ stato piacevole, mi sono sentita brava, e ora ho la sensazione che se un lavoro mi interessa c’è una qualche possibilità di ottenerlo e non devo accontentarmi per forza.
Non devo nemmeno avere timore, perché intanto non è che possa succedere niente di così tremendo, e inoltre -ma questo forse lo capiremo solo io e te- da qualche parte tra Luangprabang e Vientiane, c’è qualcuno che ogni notte attende sul ciglio di una strada di montagna, l’arrivo di un certo pullman di seconda classe, un pullman lercio e pieno di formiche, stipato di persone assonnate che si sveglieranno per scendere e fare la pipì nascosti nella giungla.
Questa persona, per vivere, venderà a questi occasionali clienti zucche e banane, e lo farà alla luce di poche insufficienti candele, perché in questo luogo sperduto nel Laos più profondo, l’elettricità non c’è. Così i clienti non vedranno un benemerito niente, non vedranno le banane che comprano, e si capirà a malapena la differenza con un zucca, perchè è un dannato buio pesto, un buio nero, come noi non ne conosciamo più, e poi il pullman se ne andrà, ma il venditore sarà qui sul ciglio della strada anche domani, e dopodomani, sempre in piena notte, a trattare per pochi spiccioli con altri clienti occasionali e assonnati.

A fronte di tutto ciò, a fronte di questo faticoso laborio notturno, che diamine è un banale colloquio di lavoro?
Niente, da oggi in poi possiamo prenderla con spirito.

Parigi Est


E’ ottobre, e siccome non vogliamo farci mancare niente, abbiamo inaugurato l’autunno vagabondando per Parigi Est, con le gambotte nude e la sciarpa attorno al collo.
E per Parigi Est intendo proprio Parigi Est, tipo che ho visto la Senna una volta sola quasi per sbaglio, e posso dire finalmente di aver trovato la mia Parigi, la mia Prenzlauer Berg francese, il posto insomma in cui mi trasferirei domani per vivere per sempre felice e contenta con te. Ecco.
I mercati di Belleville, le stradine meravigliose del Marais, il verde dell’acqua del Canal St. Martin con le sue chiuse e i suoi locali, sono una città nuova, una città diversa da quella che ho visto tutte le altre volte e che non mi aveva mai conquistata davvero.
Abbiamo vissuto nella casa di una fotografa dolcissima, un loft con le pareti di mattoncini, voglio dire, e siamo stati felici e liberi e rilassati, come se quella fosse davvero casa nostra e la fermata del metrò di Stalingrad la nostra fermata di tutti i giorni, e quel quartiere multietnico davvero il nostro quartiere.
Io se potessi scegliere vorrei vivere proprio in un posto così, un posto come Friedrichshain, come Brick Lane, e come Belleville, dove la domenica chiudono le strade al traffico e si fa la Green Parade, con la gente vestita da leopardo e gallina e orso bianco, i bambini coccinella e i cani senza guinzaglio. Mi piacerebbe da pazzi.

E adesso che siamo tornati, e siamo malaticci, io giro per casa con il maglioncino nero sul vestito a fiori che è la mia nuova moda, coccolo la mia bestiola prepotente , bevo con te calici di Müller Thurgau, aspetto i venerdì e  leggo Viaggio al termine della notte prima di dormire.
Cèline è un ottimo compagno d’ottobre, mi fa ridere da sola, mi fa fare sogni di fughe dai nazisti cattivi, mi mette di buon umore e non so nemmeno perchè, che mica è allegro, Cèline, ma il suo sarcasmo mi fa incredibilmente bene, e nessuno osi dire niente di male sul Louis-Ferdinand perché qui gode di un certo rispetto.
Quindi è ottobre ed io sono pronta: mi sono fatta venire il raffreddore, mi sono comprata le calzette di cotone, mangio molta frutta e carote per accumulare la vitamina C, ho trovato uno zainetto vintage, e sto sistemando da brava le piccole malattie del mio motorino. Ho tutto in regola, caro autunno.