Monthly Archives: January 2013

Snorkeling

le lanterne prendono il volo a Railay

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Posso benissimo scrivere un post vagamente utile e non sentimentale su Kuala Lumpur, ma ci ho provato e non posso scrivere una cosa simile sulla Thailandia, per almeno due motivi. Intanto perché nessuno al mondo ha bisogno di una guida per Koh Phi Phi, e secondo perchè amo troppo questo paese per essere precisa e dettagliata quando ne parlo. A pensare ai nostri giorni là mi viene voglia solo di sbavucchiare d’amore e sbrodolare sentimentalismi, quindi, come mia abitudine, questo non sarà un diario di viaggio nè niente di simile, sarà semplicemente la solita marmellata melensa che riporto al ritorno dai miei viaggi.
Stavolta sarò persino peggiore del solito, perché della Thailandia mi piace tutto, mi piacciono i thailandesi, quello che mangiano, come sono capaci di rendere qualsiasi bar sulla spiaggia il più fico bar sulla spiaggia che tu abbia mai visto, mi piace come usano le luci, le cose che creano con il legno, gli smoothie di frutta che trovi ovunque e persino gli onnipresenti pancakes alla banana. Se non dovessi lavorare per vivere domani sarei di nuovo in Thailandia e probabilmente ci tornerei ancora fra altri tre mesi, senza stancarmene affatto.
Ecco perché passare da Kuala Lumpur a Krabi é stato un sollievo, così come é stato un sollievo distendere la schiena affaticata dallo zaino sul letto durissimo della camera azzurra alla Chan Cha Lay Guesthouse, la nostra casa per almeno due giorni. A Krabi abbiamo subito trovato il ristorantino del cuore, l’Up 2 you too, dove poi avremmo mangiato ogni sera, e abbiamo scoperto che in cima al paese si teneva una meravigliosa fiera di fine anno, una vera fiera di paese, con concerti di sconosciutissime star della canzone thai, intere bancarelle di telecomandi spaiati, cibi a palate, pesche e giochi per la vincita di giganteschi pupazzoni di peluche. Una vera gioia, insomma, ben lontana dal caos un po’ falso del lungomare di Ao Nang, con i suoi pub per australiani e il suo “swedish food” per svedesi in vacanza nostalgici della Svezia (?!).
E anche se con quel clima quasi te ne dimentichi, d’un colpo è arrivata la fine dell’anno. Abbiamo cenato in riva al mare con pochi bath, con i piedi immersi nella sabbia fine di Railay, e senza che quasi ce ne accorgessimo, il 2013 è iniziato in paradiso con i fuochi d’artificio che scoppiando illuminavano la baia e le immense pareti di roccia a picco sul mare.
Più tardi nella notte, seduta su una long tail boat di ritorno sulla costa, ho guardato le ombre delle gigantesche scogliere che ci sfilavano affianco, mentre nel cielo nero migliaia di lanterne di carta di riso partite da ogni dove sembravano galleggiare come immobili pesci luminosi. Ho stretto forte il bordo di legno della barca per lo stordimento di uno spettacolo così incredibilmente bello da lasciare senza fiato. Ecco perché la Thailandia è un’estasi.

E quando pensi di aver già visto tutto, che non ci sia niente di più bello al mondo, prendi un traghetto per Phi Phi Island, e lì ci resti semplicemente secco. L’isola ha un solo piccolo centro abitato, formato da stradine pedonali piene di locali, negozietti, ring per combattimenti di thai boxe, bancarelle, improvvisate agenzie turistiche e ogni altra sciocchezza possa venire in mente.

Il fatto che sia considerato uno dei posti più belli del mondo farebbe pensare che l’isola sia meta di un turismo di lusso, noioso e fasullo, mentre invece è straordinariamente piena di giovani saccopelisti variegati, di localini sulla spiaggia, e di gente disposta a malmenarsi sul ring per una birra (tutta la mia stima).
Io a Phi Phi sono stata davvero felice, felice delle nostre cenette in riva al mare, dei mojitos con sopra l’orchidea, dei giochi con il fuoco, di te e di me immersi nel mare turchese di Maya bay a fare snorkeling con il boccaglio indicandoci l’un l’altra pesci straordinari dai colori impossibili, delle risate al Raggae Bar mentre improvvisati thai boxer si tiravano calciazzi alla bell’è meglio, e anche solo della pace assoluta che sentivo mentre con la barca filavamo sulle onde ed io mi procuravo la più spaventosa ustione solare mai accertata sulla terra.
Mi manca Phi Phi, mi manca la laguna, le scimmie sulla spiaggia, mi manca lo smoothie alla mela e kiwi, l’hamburger di patate, e tutto quanto.
Non so quando torneremo in Thailandia, c’è tutto un mondo da scoprire e forse passeranno anni, non ne ho idea. So che spero di ritrovarla così come l’abbiamo lasciata, e se dovesse cambiare spero non cambi in una maniera che la sciupi, che la privi di quella sua anima che oggi intravedi dietro ogni cosa. Arrivederci, paradiso.

La scommessa di Kuala Lumpur

Kuala lumpur

Tornare in Thailandia per la seconda volta in un anno potrebbe sembrare un po’ folle, ma chiunque ci sia stato può benissimo capire che non lo è. La Thailandia non è mai abbastanza, è capace di causarti le peggiori malinconie nei peggiori momenti, ti prende alla gola, in tutti i sensi, nei grigi pomeriggi d’inverno, e riesce a farti mancare anche la sua pioggia in un giorno di pioggia locale, perchè quello lì è un piovere diverso dal nostro, catastrofico, melodrammatico, buffo, bellissimo, persino allegro, mica come il nostro piovere poco credibile.

E così siamo ripartiti, ma stavolta passando da Kuala Lumpur e non da Bangkok, sia per il costo nettamente inferiore del biglietto sia perchè il sud della thailandia è più vicino alla Malesia che al resto del paese.
Abbiamo volato sull’aereo più grande del mondo dove ho guardato due film fichissimi e mangiato i miei pasti ovo-lacto vegetarian, fino all’arrivo a Kuala Lumpur, che è un vero casino incasinato di città.

La Lonely planet ci aveva avvisati: la capitale malese è ostica per i pedoni, piena di sopraelevate a quattro corsie, in grande (ma confusa) espansione, e molto più cinese che sud-est asiatica.
Ad essere onesti è tutto vero, gironzolando ci si accorge che i difetti ci sono e grossolani, ma anche se siamo rimasti troppo poco per poterla capire, e anche se più volte l’ho confrontata impietosamente con la magnifica Bangkok, Kuala Lumpur ha qualcosa che la sorniona “Città degli angeli” non ha e che la rende meritevole di una visita, seppur fugace: è la crudeltà.
KL è crudelmente vera, è una città del futuro, pochissimo turistica perchè poco appetibile agli occhi del turista occidentale, poco accogliente, davvero straniera.
Non c’è niente in lei che tenti di abbindolarti o di renderti le cose facili. E’ tutta storta, sbagliata, squilibrata. E’ probabilmente simile a decine di altre megalopoli asiatiche che non ho mai visto, e quindi è assolutamente interessante.

Ma Kuala Lumpur non è solo arterie stradali alla cazzodicane e ingiustificatamente lussuosi centri commerciali. E’ anche piccoli quartieri di antica immigrazione come Little India, China town, e Brickfields dove il viaggiatore ritrova un senso al suo vagabondare.
A Little India per esempio si tiene un colorato mercato del sabato sera dove non abbiamo incontrato nessuno, e dico nessuno, che avesse l’aria del turista nè del pappone in vacanza.
Si tratta di un bel mercato autentico, sparpagliato nelle strade del quartiere e pieno di cose da mangiare poco invitanti per i nostri palati ma curiosissime.

A China Town meritano una visita il Sri Mahamariamman Temple, il più antico tempio indù della città, e il Guan Di Temple, il tempio taoista del dio della guerra, avvolto dal fumo dell’incenso. La zona è molto vivace, è piena di vecchie shophouse decadenti, e ha dimensioni umane, ben diverse da quelle sproporzionate di buona parte della città. Qui c’è anche il turistico, ma davvero gradevole, Central Market, un vecchio mercato coperto che è stato adibito a vendita di prodotti artigianali, artistici e souvenir graziosi. I prezzi sono un po’ indecenti, ma i prodotti sono davvero belli anche solo da vedere. Da notare che dento il mercato c’è l’aria condizionata, e la cosa non è di poco conto in una metropoli calda e umida.

Nelle città così grandi, caotiche e un po’ sconclusionate può essere difficile individuare il posto migliore in cui stabilire la base, quindi dove dormire a Kuala Lumpur che è esattamente l’idealtipo di quel genere di città?
Noi ci siamo trovati benissimo alla Pods Backpackers Home di Brickfields (circa 8 euro a notte in letto doppio), a due passi dalla stazione centrale e da un bene primario della città: l’MRT, la monorotaia cittadina. Il Pods l’avevamo prenotato come economico pied-à-terre diurno per l’ultimo giorno di vacanza, ma quando siamo piombati alla guesthouse all’alba dopo una notte di treno di ritorno dalla Thailandia, e ci hanno subito accolti dandoci un bel letto pulito e tutti i confort, abbiamo capito che era davvero un bel posto e abbiamo finito per sfruttarlo molto più del previsto fino alla partenza per l’aeroporto.

La prima notte avevamo invece dormito alla guesthouse Homestyle del Golden Triangle, più che decente, con camere minuscole ma graziose. Il problema è che non abbiamo apprezzato granchè lo scarafaggio che è uscito di corsa da una scatolina di paglia, e il millepiedi sicuramente velenosissimo che giaceva morto sul pavimento (r.i.p.), ma chi ha l’incubo degli insetti non è fatto per il sud est asiatico e questo l’avevamo già compreso la scorsa estate.
L’Homestyle ha un’ottima posizione vicina a praticamente tutto ma consiglio comunque di cercare altro in zona anche perchè il prezzo a mio avviso non vale la pena (circa 34 euro a notte per convivere con lo scarafaggio è sicuramente troppo).

Tornando alla monorotaia posso solo dire che è meravigliosa ed io l’ho amata pazzamente. Parte a qualche centinaio di metri dalla KL Sentral, la stazione centrale che collega la città all’aeroporto e al resto del mondo. Ha fermate capillari che tagliano di netto la città e si incrocia con la LRT, la linea ferroviaria cittadina che a sua volta copre le zone di China Town e Little India.
Dall’alto della monotoraia anche l’ostica KL appare vivibile e turisticamente appetibile, e si scorgono nascosti tra gli immensi ecomostri piccoli templi, moschee e mercati. E’ grazie a questi veloci ed economici mezzi pubblici che abbiamo visitato la città nei due giorni appena in cui siamo stati in Malesia.

Con il cibo invece abbiamo avuto un po’ di difficoltà. Quando abbiamo cercato alcuni ristoranti consigliati abbiamo faticato a trovarli, e il più delle volte non li abbiamo trovati affatto. I nomi delle strade sono strampalati, a volte sono semplicemente sigle tipo JD 125 (???) e a volte si tratta di locali al quarto o quinto o sesto piano di un immenso centro commerciale in cui misteriosamente non si trova nulla di nulla. Le bancarelle in strada, sono numerose e frequentate a frotte dai malesi, ma spesso offrono cibo non ben identificato e non tanto attraente ai miei occhi.
Noi due abbiamo finito spesso per spiluccare in posti per occidentali tipo lo Starbucks, ed è una cosa che in viaggio non facciamo davvero mai, per cui devo dire che con la gastronomia di Kuala lumpur non mi sono trovata granché bene. Magari ad altri andrà meglio, specie agli amanti della carne e ai coraggiosi ed intrepidi che oseranno mettersi in bocca un pezzetto del disgustoso Durian, il cibo più puzzolente del mondo capace di infestare un’intera strada ma tanto amato dai malesi.

Quando, dopo appena un giorno nella megalopoli, siamo partiti per la Thailandia, devo ammettere che sono stata felice. Avevo voglia di mare, di gente freak, di cose commestibili, di casette ad un piano e di tuk tuk. Nonostante tutto non mi dispiace essere passata da Kuala Lumpur perchè è un’Asia vera, che a tratti somiglia a come ti immagini la Cina, e che finora non avevo mai visto.
So che ci sono moltissime cose che non abbiamo potuto vedere e fare per mancanza di tempo: ci sono giardini pieni di farfalle e di uccelli tropicali, ci sono le Petronas Tower alte mezzo chilometro su cui salire, c’è la Menara con il suo ristorante rotante, le affascinanti Batu Caves, e chissà quanto altro, quindi sono certa che la città offra molto di più di quanto abbiamo potuto cogliere noi.

Lasciandola mi sono chiesta come sarà questa città fra cinque o dieci anni, se ci saranno ancora tracce di jungla combattiva a tutti gli angoli delle strade, se sarà ancora così sconnessa o se avrà trovato una sua dimensione umana, tra le pieghe del caos del progresso a tutti i costi.
Ecco, mi piacerebbe tornarci, un giorno, ma non ci tornerei subito. Le lascerei il tempo di assestarsi, di diventare qualcosa che sia solo suo e non cinese o indiano o occidentale. Kuala Lumpur è come una scommessa e qualcuno vincerà senz’altro, bisogna solo vedere chi.