I'm thinking of a song or two,
Il problema è che io non so letteralmente da dove cominciare. Potrei partire dal fatto che New York è una sovracittà, un sovramondo. New york è esattamente tutti gli stereotipi di New York, tranne quello che dice che la sua grandezza ti fa sentire piccolo, che mica è vero. Io a New York mi sentivo della giusta dimensione, e tutto mi pareva a misura nostra, fin dall'attimo in cui ti ho intravisto aspettarmi tra la folla di Newark e il mio cuoricino batteva frenetico.
New York è la Berlino d'America, l'East Village è Kreuzberg, e St. Mark Place è Boxhagener platz. Però a New York cammini, e la città ti scorre sotto, mentre Berlino sembra talvolta allontanarsi. E' grande, ma non è impossibile, ti sorride. Quando abbiamo manifestato da Washington Square a Zuccotti Park con il movimento Occupy Wall Street, abbiamo percorso a piedi tutta Lower manhattan, e mi è parsa la più allegra scampagnata di sempre.
Al di là di tutte le meraviglie che New York offre, al di là dei suoi caffè meravigliosi, dei quartieri alberati di casine color mattone, della musica splendida ovunque, di Central Park con la gente in costume, le sue scritte in cielo o i suoi 30 gradi a ottobre, quel che veramente ti conquista sono le persone, la moltitudine variegata dei suoi cittadini. I newyorkesi appaiono adorabili, dannatamente gentili, eleganti anche con addosso un orribile pantacollant maculato. Sono capaci di farti un complimento per la tua giacca senza neanche conoscerti, e di venire ad avvisarti che il tuo vestitino si è arrotolato e hai il culetto tutto di fuori, così, per pura empatia.
Il nostro quartiere, la nostra Little India, era la fine del mondo. Che gioia sublime svegliarsi la mattina, scendere le poche scalette che portano in strada, incrociare la comunità ebraica all'uscita dalla sinagoga, salutare gli indiani del ristorantino sotto casa, occupare uno dei tavolini del Cafè Mogador e fare colazione a mezzogiorno guardando gente strafica passeggiare con il cane o incontrarsi con gli amici per il brunch. Due giorni a New York e mi sentivo già a casa, persino il micro appartamento mi pareva casa nostra con l'unica eccezione delle pareti oromarron.
Ci sarebbero troppe cose da annotare, troppi ristorantini etnici da memorizzare, troppo sole da rimpiangere, troppi slogan rivoluzionari da canticchiare tutto il giorno, troppi scoiattoli avvistati, troppi caffè annacquati bevuti, troppa figaggine assorbita.
New York è la città delle città, una ultragalassia in cui noi galleggiamo a meraviglia, la città per me e te. Rivederti lì, dopo quel lungo viaggio, baciarti in punta di piedi, è stata sul serio la cosa più straordinaria del mondo.